La macchina del consenso di Coldiretti

Per decenni braccio politico della Democrazia Cristiana nelle campagne italiane, Coldiretti è una delle poche realtà che ha saputo attraversare la storia del Belpaese dal Secondo Dopoguerra a oggi sopravvivendo a scossoni economici e politici, come il crack Federconsorzi e Tangentopoli, senza perdere potere o influenza. Anzi, li ha accresciuti, passando dall’essere il rappresentante politico non dichiarato della Balena Bianca in ambito agricolo al proporsi quale organizzazione orientata alla tutela dei consumatori.

Ascoltata, corteggiata e supportata da ogni classe politica. Tutte, senza distinzioni fra Sinistra, Centro e Destra. La mutazione strategica a cui i vertici hanno sottoposto Coldiretti ne ha in effetti sganciato l’attività da una referenza politica diretta, così da permetterne la sinergia con le forze politiche via via diventate protagoniste della Seconda Repubblica, trovando la giusta sponda in una classe dirigente costantemente caratterizzata per quanto riguarda il comparto primario da impreparazione e mancanza di competenze.

Non è un caso se fino a qualche decennio fa sarebbe stata pura fantascienza l’ipotizzare che un presidente di Coldiretti osasse sfidare a muso duro, fin quasi ad alzare le mani, un esponente politico come invece successo lo scorso mese di Dicembre davanti alla sede della Camera dei deputati. Se l’incontro-scontro tra Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, e Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, fosse avvenuto tra un ex presidente del sindacato-organizzazione e un Bettino Craxi o un Giovanni Spadolini sarebbe facile ipotizzare come il leader di Coldiretti sarebbe velocemente scomparso dalla scena pubblica nazionale e l’organizzazione ridimensionata a sorta di associazione parrocchiale. Oggi invece è subito accorso a sostegno del Presidente di Coldiretti il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, così come dalle forze di opposizione non si alzata una sola voce per criticare o stigmatizzare il comportamento di Prandini.

Ciò che accomuna maggioranza e opposizione, in Italia come in Europa, è in effetti la necessità di far proprio un consenso elettorale che vale oro in un’epoca post ideologica come l’attuale, in cui i favori dell’elettorato sono quanto mai instabili. E ciò, il consenso, è proprio quanto Coldiretti è in grado di offrire grazie a oltre 340 aziende associate e a un milione e mezzo di iscritti, secondo i numeri riportarti nell’inchiesta di La Repubblica, a cui si affianca “una galassia di società dal giro d’affari milionario”, come definito da Il Venerdì.

La crescita del crack di Federconsorzi

Un potere politico ed economico che l’inchiesta del settimanale fa risalire al periodo immediatamente antecedente a Tangentopoli, quando il crack di Federconsorzi, controllato per il 51 per cento da Coldiretti e per il restante 49 per cento da Confagricoltura, offrì a Vincenzo Gesmundo, da 30 anni segretario generale di Coldiretti, l’opportunità di far assumere a Coldiretti il monopolio della rappresentanza agricola, offrendolo a una politica fragile e alla ricerca di consenso. Secondo l’inchiesta del Quotidiano, “Coldiretti di oggi è il prodotto di quella visione.

Primo, la struttura. Una rete capillare di sportelli sul territorio, dove gli agricoltori possono chiedere consulenze, ottenere prestiti, assicurarsi contro le calamità: Intesa Sanpaolo e Cattolica, eredi della finanza bianca, sono grandi partner. (…) Secondo, portare quel milione e mezzo di agricoltori nei tiggì, sui giornali e a diretto contatto con chi mangia. È la linea che porta a Campagna Amica, rete di mercati dei produttori, piccoli, buoni e italiani. Terzo, non importa se in contraddizione, estendere l’impronta di Coldiretti in orizzontale, strappando le grandi aziende a Confagricoltura, e in verticale, lungo la filiera industriale del cibo”. Nasce proprio da tale progetto l’alleanza con Bonifiche Ferraresi, la prima realtà agricola italiana per superficie acquistata dall’ex presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni, insieme a Fondazione Cariplo, all’azienda farmaceutica Dompè e a Cassa depositi e prestiti, e successivamente quotata in Borsa con il nome Bf.



La neonata holding agroindustriale stringe infatti un sodalizio con Coldiretti nel 2020 attraverso la partecipazione in Cai, acronimo di Consorzi agrari d’Italia, il veicolo creato dall’organizzazione-sindacato in cui confluiscono i consorzi agrari sopravvissuti al crack del 1991 e di cui Bf acquista la quota singola di maggioranza. È il coronamento di un progetto avviato tre decenni orsono e destinato a coprire l’intera filiera agroalimentare, “dalle sementi fino ai prodotti dei campi”, all’insegna di quella sovranità alimentare che va tanto di moda sia nella destra euroscettica sia nella sinistra radical-chic. Il tutto portato avanti attraverso una narrazione falsa e invasiva nella quale l’agricoltura italiana vive di produzioni di nicchia, vendute in mercatini tipici, portate avanti da piccoli imprenditori che combattono eroicamente contro sciagurate importazioni di materie prime straniere e deleterie politiche di appiattimento qualitativo perseguite dalla grande distribuzione organizzata.

Il biotech sempre nel mirino

Uno storytelling creato ad hoc che dimentica di menzionare gli accordi sottoscritti da Coldiretti con McDonald’s, non proprio il miglior esempio di qualità agroalimentare, focalizzando viceversa l’attenzione del consumatore medio italiano verso pretestuose campagne di disinformazione contro quanto proposto dall’innovazione tecnologica di settore, dagli storicamente osteggiati ogm alla carne coltivata, con quest’ultima che su “spinta” di Coldiretti è addirittura diventata oggetto di una Legge del Governo che ne vieta la produzione e la commercializzazione nonostante in Europa tale prodotto non sia nemmeno autorizzato. La realtà però nel contesto socio-politico attuale è spesso e volentieri un optional non obbligatorio, perché come ha dichiarato a “il Venerdì” Emanuele Bernardi, professore di Storia Contemporanea alla Sapienza di Roma e autore di un libro sui primi decenni di Coldiretti, quest’ultima “ha sviluppato un’egemonia culturale, facendo leva su un paradigma potentissimo di consenso come il cibo italiano. È piena di contraddizioni, parla ancora dei contadini come fossero braccianti e intanto è coinvolta in operazioni di finanziarizzazione dell’agricoltura, è mercantilista nella promozione del made in Italy all’estero e protezionista. Sono contraddizioni che potrebbero anche esplodere, ma il fatto è che narrazioni diverse non esistono”. Chiara a questo punto la risposta alla domanda di apertura. Chi rappresenta Coldiretti? Se stessa, solo se stessa.

Titolo: La macchina del consenso di Coldiretti

Autori: Fabio Fracchia e Andrea Castelli

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